Più avanti – parte prima

Più avanti
Campo di Jarmuk, Dmasco-Siria
Prima parte

di ABU MANU

Più avanti, oltre l’enorme cratere creato dall’esplosione, Tadamon si estende grigio, polveroso e disordinato fino a Piazza Palestina. Da questa piazza fino alla strada Taletin (trenta) si dipana, fra vicoli e stradine senza sbocco, il quartiere dei palestinesi venuti dal Maghreb: zona Magharbi. Nel Campo, rinomati per la loro testardaggine, i palestinesi Maghrebini si considerano una comunità a parte; ma questo si può dire per qualunque comunità palestinese da qualunque paese della diaspora provenga. Abu Arab e la moglie Em Arab hanno la loro casa proprio sulla piazza, vale a dire al confine fra il quartiere proletario siriano di Tadamon, dove si combatte, e il Campo.

Abu Arab ed Em Arab, fra i più testardi dei Maghrebini, hanno sette maschi e tre femmine, tutti ormai sposati ed usciti dal Campo, alcuni all’estero, sopratutto in America, e il maggiore dei maschi: Arab, in città, felicemente sposato con figli e lavoro fisso al comune di Damasco. Abu Arab e la moglie, non hanno voluto abbandonare nè il Campo nè tanto meno la casa, costruita con le loro mani su due piani, di centocinquanta metri quadrati, con le stanze a pian terreno tutte affittate a piccoli negozianti. Quella era la vita che erano riusciti a crearsi dal nulla, dalla prima tenda in qualità di rifugiati, alla “palazzina” con pozzo privato, televisore e frigorifero e la camera da letto bianca e azzurra. Fuori avevano la macchina Lada. Avevano sistemato tutti i figli e sposato tutte le figlie e non ne volevano sentire di vendere tutto per andare a stare in città in qualche quartiere a loro estraneo. Sessantotto anni lui, sessanta lei, preferivano rischiare la vita che rischiare la loro casa. Il rischio c’era ed era alto, perchè le cannonate dei Lealisti cadevano poco selettivamente e le smitragliate e i cecchinaggi dei ribelli non erano da meno; distruzioni e morti oramai non si contavano. Abu Arab non amava alcun tipo di governo, e non amava i finti rivoluzionari al soldo dei re e degli imperatori. Lui di origini bedu, di Gaza, rispettava la famiglia, il clan d’appartenenza, la natura e il Corano. Il resto, uomini e istituzioni, gli erano del tutto estranei. La moglie lo seguiva in tutto e per tutto; lei desiderava vivere o morire col suo uomo, lo aveva ripetuto spesso negli ultimi tempi. Lui, maestro intonacatore, aveva intonacato mezzo Campo, aveva conosciuto pregi e difetti della gran parte dei profughi che lo abitavano, e la sua stima nell’umanità decresceva proporzionalmente alla quantità di nuove conoscenze che era costretto a fare.

Ora sessantotto anni lui e sessanta lei avevano sistemato tutti i figli maschi e sposato le femmine, non avevano più bisogno di lavorare e si potevano godere la pace e il silenzio che meritavano. Ma Allah l’Imperscrutabile doveva aver deciso diversamente e nella sua sovrumana logica aveva stabilito che non fosse tempo di pace. Con questa convinzione Abu Arab aveva sistemato i pesanti materassi di lana alle finestre, per evitare che schegge e proiettili vaganti entrassero in casa, aveva portato il loro letto nel salone, sotto la trave centrale di cemento che lui stesso aveva armato con tondino zigrinato da tredici millimetri, non badando a spese, anche le colonne le aveva fatte robuste con larghi piedi. Se la bomba non fosse caduta proprio sulla casa, ma nei dintorni, anche vicini avrebbe resistito all’urto della massa d’aria e alle schegge. Per sicurezza intorno al letto aveva addossato tutti i mobili che avevano. Aveva fatto scorte di benzina per il generatore, di acqua potabile e di alimenti vari. Il frigo lo aveva riempito di polli, carne e uova e collegato al generatore insieme alla televisione per avere continue notizie sull’andamento degli scontri. Insomma avrebbero resistito diverse settimane proteggendo la casa da malintenzionati o finendo con essa sotto le bombe.Aveva tolto la batteria al telefonino per non dover più rispondere a parenti e amici che chiamavano in continuazione per convincerlo ad abbandonare il Campo almeno per qualche giorno. Aveva letto i volantini lanciati con l’elicottero dal governo che avvisavano di lasciare per qualche giorno le case poiché ci sarebbero stati bombardamenti e rastrellamenti per ripulire la zona dai “terroristi”. Ma lui l’aveva giurato a se stesso che non avrebbe più abbandonato né il territorio dove viveva, né la casa per alcun motivo. Il padre e la madre avevano fatto quello sbaglio di lasciare la Palestina con la certezza che sarebbero tornati dopo poco ed erano stati costretti a morire fuori dalla Palestina, vagando sempre. Lui quel pezzetto di Palestina alla periferia sud di Damasco non l’avrebbe abbandonato, anzi lo avrebbe difeso e allo scopo aveva tirato fuori dal muro, il suo vecchio AK47, la piccola Makarov calibro nove, le munizioni e due bombe a mano. Chi avesse voluto levargli qualcosa con la forza sarebbe morto insieme a loro.  Su questo punto aveva tutto l’appoggio di Em Arab, a lei non aveva imposto alcuna scelta, era libera di andare a stare con il figlio in città, lontana dagli scontri, o dividere la sorte con lui. Lei si era offesa quando le aveva proposto di andare a stare in città e lui si era commosso quando lei aveva rifiutato.

Quella notte del sette agosto era stata durissima, molte bombe erano cadute vicinissimo alla loro casa, che ad ogni colpo tremava, oscillava a destra o a sinistra e ritornava al suo posto. Abu Arab fissava la grossa trave sulla sua testa, ma quella reggeva bene, nemmeno l’intonaco si crepava.

Ora gira l’elicottero sopra la testa… colpi di mitraglia pesante tutt’intorno… rumore di cingolati sull’asfalto…colpi di RPG… urla strazianti…intenso fuoco di AK47 tutt’intorno…il cingolato prende fuoco ed esplodono tutte le munizioni al suo interno…il boato e la botta d’aria bollente distrugge il materasso e la parete della stanza da letto…la casa oscilla paurosamente…ritorna alla sua posizione…la folata calda arriva al loro letto…improvvisamente si fa un silenzio di tomba…gli spari si perdono in lontananza fino a scemare…dal buco della parete crollata arrivano fiochi lamenti. Con le gambe che tremano Abu Arab si cala dal letto, la sua mano ha talmente stretto il Kalasnikov che le dita si sono rattrappite, Em Arab lo segue come un’ombra con la pistola in mano. Arrivano al grosso buco. La stanza da letto è piena di detriti, di calcinacci, di polvere che si posa lentamente sul pavimento. Respirando a fatica arrivano al buco. Fuori anche i lamenti sono cessati, nulla si muove, dal grande cratere a cento metri dalla casa esce ancora fumo nerissimo e fiamme che illuminano il tragico palcoscenico dello scontro. Pochi sono i corpi interi che giacciono senza vita tutt’intorno al cratere. Moltissimi i pezzi di uomini disseminati ovunque, un braccio è entrato nella loro camera da letto…le case che si affacciano sulla piazza sono tutte sventrate…alcune si sono accartocciate su se stesse…quasi automaticamente Abu Arab pensa: – Poco cemento, tanta sabbia e ferro scadente -.

Di tutti quei corpi straziati Abu Arab può distinguere, dalle scarpe e dagli stracci lacerati che sono rimasti attaccati, i soldati lealisti dai ribelli, tanti, troppi da ambo le parti.

La casa di Abu Nabil è venuta tutta giù, non gli dispiace, quel ladrone di Abu Nabil è stato fra i primi ad abbandonare il Campo, quel mezzo uomo ha avuto quel che si merita, pensa, poi ci ripensa e chiede perdono ad Allah per i suoi cattivi pensieri, certamente dettati dalla gelosia. Ora riprendono gli spari, nei vicoli tutt’attorno al disastro i lealisti riprendono a rastrellare e come fantasmi i ribelli svaniscono e riappaiono in altro loco. Em Arab gli tira la manica della galabia, gli dice che ora riprenderanno i bombardamenti. La reazione dei lealisti alla perdita degli uomini e dei blindati sarà terribile. Sicuramente riempiranno i dintorni di cannonate, quelle pesanti che arrivano dalla postazione sul monte Cassiun che domina Damasco. È l’unico modo per avanzare: fare terra bruciata, abbattere a cannonate i rifugi momentanei dei ribelli e respingerli fuori zona, fuori quartiere, verso i campi dei contadini, allo scoperto. Abu Arab e la moglie sanno per certo che andrà così, loro, i palestinesi, erano stati cacciati nello stesso modo dal loro paese e da quelli dove si erano rifugiati.

Un’asfittica aurora inizia faticosamente a farsi strada tra il fumo delle esplosioni e degli incendi; si comincia a vedere meglio e i due preferirebbero che continuasse la buia notte. Ora alla luce del sole la scena si riempie di dettagli da brivido… gli spari fra le case… dalle finestre… da tutte le parti… sembrano essere più acuti… anche le urla dei feriti si moltiplicano…le invocazioni ad Allah s’innalzano copiose… interrotte dal colpo unico che le spegne…un gruppetto di ribelli si getta nel cratere e lì dentro allestiscono una difesa con due fucili mitragliatori e tre RPG… altri arrivano dalle macerie… passano oltre e spariscono verso Jarmuk… verso altri vicoli… altri drammi… altre devastazioni… nella buca si difende la loro fuga dagli inseguitori…chi difenderà la difesa?…si chiede scioccamente Abu Arab…quei giovani dentro quell’infame cratere sono già martiri…questione di poco…hanno già ucciso altri giovani con la divisa… non verrà loro concessa alcuna clemenza… ma i lealisti non compaiono sulla piazza divenuta cratere…si fermano…non escono allo scoperto… stanno coperti…non sparano nemmeno più…anche quelli nel cratere non sparano più non vedendo alcuno farsi avanti…rimangono nell’aria solo le urla dei feriti straziati… fra le macerie… fra le mura diroccate e perforate dai colpi… Abu Arab e la moglie capiscono che sta per succedere qualcosa… qualcosa d’inevitabile e definitivo… sentono già il rumore avvicinarsi… da fioco diventa distinto… paurosamente lacerante… è sulle loro teste… in alto tra il fumo e il cielo… Abu Arab come in un lampo vede le facce di tutti quei morti…tutti giovani dello stesso credo…tutti mussulmani come lui…tutti figli di uno stesso antico popolo…il suo… ci sono figli di amici suoi… da una parte e dall’altra… colto da una rabbia tristissima, maledicendo l’America, esce dai resti della sua casa…fa una cosa che mai avrebbe osato fare…si toglie la bianca galabia…butta il fucile…seminudo avanza verso il cratere sventolando la galabia sulla testa… verso l’elicottero…Em Arab lo segue anch’ella sventolando il velo che la ricopriva… chiedono pietà per tutti… l’elicottero fa giri stretti ed alti… sicuramente li hanno visti… sembrano capire… non sganciano i razzi mortali… anche i combattenti non sparano più… Abu Arab grida con forza…Allah Misericordioso!… fermatevi!… Allah Il Pietoso!… fermatevi!… in nome di Allah unico Padre di tutti noi!… fermatevi!… ed agita disperatamente la galabia… il suo corpo seminudo… con il pancione e le gambe secche secche ispirano compassione affettuosa… la sua età e la presenza della coraggiosa moglie al suo fianco ispirano rispetto e soggezione … tutti anche l’elicottero sono fermi… in silenzio… quel silenzio della pace così tanto ricercato… sono arrivati al limite del cratere… sorridono… i loro occhi sono felici…si sono fermati!… Allah Onnipotente!… moglie mia… li abbiamo fermati! Poi i due singoli successivi colpi…colpi da cecchino…le loro teste esplodono…i loro corpi cadono fra il cratere ed il resto del mondo.

Quasi non toccano terra che da tutte le parti riprende il combattimento… quasi più accanito di prima… saturo di cieco odio… forse tutti ci avevano sperato… l’elicottero sgancia tutti i razzi che ha… oltre il necessario… i corpi di Abu Arab ed Em Nafes avvolti nel fuoco e nel fumo, schegge impastate con i detriti del loro quartiere,  vanno verso tutte le direzioni.

 

Continua nel prossimo numero