Le “chiavi” del potere

Immaginiamo un gruppo di ricchi e lesti fanti (leggi pure lestofanti) e tutt’intorno un brulicare di ossequiosi ed ammirati legulei che, presi dall’orgasmo del denaro, suggeriscono affari, indicano strade da seguire e le “chiavi” per aprire le porte ad altro denaro (che nel linguaggio pubblico usano chiamare “sviluppo” e “lavoro”). Immaginiamo poi le “chiavi”. Anzi, guardiamoci attorno e cerchiamole tra di noi, perché se è relativamente difficile individuare per nome le “chiavi” più importanti, quelle che gestiscono il potere politico, amministrativo e legislativo, è senz’altro più facile individuare quelle degli apparati periferici, le chiavi che (leggi pure chiaviche) stanno in mezzo a noi e che spesso sono decisive per la realizzazione degli affari. Si tratta di gente “comune”, un po’ narcisista e non particolarmente ricca, ma che per ossequio alle indicazioni delle chiavi maggiori (i boss di partito) o per le briciole che le consorterie degli affari lasciano intravedere, si danno da fare nel loro ruolo istituzionale di approvare o rigettare, deliberare, decretare. Senza queste “chiavi” non è generalmente possibile aprire i territori alle operazioni degli speculatori. Sono proprio queste le chiavi del potere. Funzionano un po’ come gli eserciti senza i quali i generali non farebbero alcuna guerra. Sembrerà ridicolo, ma senza queste chiavi società come la Maltauro costruzioni o come la SAI8 o come le compagnie che si occupano di discariche o ancora come i progetti di nuova speculazione edilizia non avrebbero potuto accedere nei nostri territori. Se questo è l’andazzo ci se